La riscoperta dell'umanità by Charles King

La riscoperta dell'umanità by Charles King

autore:Charles King [King, Charles]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2020-09-03T12:00:00+00:00


Capitolo decimo

La nazione indiana

Mentre Hurston viaggiava lungo le coste del Golfo del Messico, e Mead e Fortune lavoravano a nuovi progetti da portare avanti dopo la spedizione a Manus, Boas era rimasto a New York. Ormai era una vera e propria eminenza, considerato uno dei grandi dell’antropologia e un’autorità per tutto quello che riguardava la razza, il retaggio, la cultura, eventi di rilevanza mondiale e questioni tra le piú disparate che giornalisti, direttori di museo e cittadini potessero sollevare. Le responsabilità legate a questo nuovo status gli impedivano di svolgere le ricerche sul campo che lo avevano occupato quando era uno scienziato giovane e sconosciuto.

Ogni anno arrivavano sulla sua scrivania circa venticinquemila lettere, pagine su pagine che viaggiavano tra New York e i luoghi in cui lavoravano i suoi studenti, colleghi e ricercatori sul campo, insieme a lettere di accettazione o scuse da parte di editori, giornalisti, cittadini eminenti e dignitari stranieri1. Una squadra di assistenti, di solito scelti tra i suoi dottorandi, era impegnata a smistare, battere a macchina, spedire e archiviare la corrispondenza. L’Ufficio relazioni pubbliche della Procter & Gamble chiese a Boas di intraprendere uno studio comparativo sulle «differenze funzionali ed estetiche tra le mani di persone diverse»2. Uno studente del Brooklyn College gli scrisse per chiedere se fosse vero, come diceva il suo insegnante, che «la razza negra era assai inferiore […] a quella bianca […] e che la dimensione del cervello di un negro è minore di quella di un normale uomo bianco»3. «Quello che ti ha detto il tuo insegnante è completamente privo di senso»4, rispose Boas il giorno seguente. Il redattore sportivo del «New York Sun» chiese se i negri erano pugili migliori perché il loro fisico maturava piú in fretta di quello dei bianchi5. Non ci sono prove, rispose Boas in modo molto pratico, probabilmente accompagnando la risposta con un sospiro di esasperazione6.

La vita alla Columbia era fatta anche di corsi e seminari, organizzazione di conferenze e riunioni, battaglie amministrative e battibecchi. Il dipartimento, paragonato ad altri, era piccolo, e questo comportava che Boas passasse molto tempo a difenderne l’esistenza stessa. «C’è qualcosa nei lavori amministrativi che corrompe anche le persone per bene»7, ebbe a dire. La duplice ansia, legata da una parte alla carenza dei fondi per la ricerca e dall’altra alle battaglie burocratiche con l’università, gli procurava gli incubi. Ne raccontò uno a Mead: mentre stava piantando dei chiodi nella parete per sistemare un nuovo bastone per le tende, si accorgeva che in realtà stava inchiodando al muro un sacco pieno di topi che si contorcevano e si mordevano le code a vicenda8.

Il ritmo frenetico sostenuto da Boas per la gestione del dipartimento era ancora piú sorprendente se si pensa all’età e al suo stato di salute. Quando Mead e Hurston pubblicarono i loro libri si trovava alla soglia dei settant’anni, aveva problemi cronici allo stomaco, al cuore ed era spossato dai troppi impegni. «Sembra debole e piegato dalla fatica, – scriveva Ruth Benedict a un’amica nella primavera del 1932, – ma se tu lo vedessi rimarresti comunque stupita»9.



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